giovedì 11 novembre 2010

BONDI: Il crollo di Pompei causato dalla cattiva gestione delle risorse


Sarebbe comodo addossare a me tutte le responsabilità, oppure al Governo accusato di tagliare i fondi alla cultura, come se i minori trasferimenti di questi anni potessero davvero essere considerati la causa diretta di ciò che è accaduto. Lo ripeto, bisognerebbe avere tutti il senso della misura e soprattutto evitare ogni tipo di strumentalizzazione di carattere politico.
Vi sono stati negli ultimi anni altri crolli, della stessa gravità se non più gravi, in altre aree archeologiche italiane, quando erano al Governo ministri anche della sinistra, ma a nessuno è mai venuto in mente, giustamente, di chiedere le loro dimissioni. Se nel mio caso valgono altri criteri ne prendo atto. Chiedete pure le mie dimissioni, ma non sarebbe un atto politicamente e moralmente giusto: non solo non merito un tale trattamento, ma sarebbe, a mio avviso, un ulteriore segno di incattivimento della lotta politica in Italia Se invece devo saltare su una mina, come ha detto l’onorevole Franceschini, per far esplodere le contraddizioni di questa maggioranza, allora è un altro discorso, che però non c’entra assolutamente niente né con Pompei né con la cultura italiana (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).



Posso dire, in coscienza, di avere svolto un grande lavoro, che ha dato alcuni primi risultati importanti. Vorrei ricordare, innanzi tutto, le condizioni in cui si trovava due anni fa Pompei. La stampa aveva denunciato, giustamente, una situazione incredibile ed intollerabile per l’immagine dell’Italia: sporcizia, mancanza di servizi igienici, cani randagi, guide non autorizzate, ristoranti abusivi, edifici chiusi al pubblico. Sulla base di questa situazione di emergenza decisi di nominare un commissario di Governo. Vorrei tanto che poteste guardare questo documento che testimonia ciò che è stato fatto, oppure vi invito a visitare Pompei e vi renderete conto di quale era la situazione e quali progressi abbiamo fatto in questi due anni di lavoro

La decisione di nominare un commissario nasceva dall’emergenza, ma anche dalla mia convinzione, che un’area archeologica complessa come Pompei, che non ha eguali nel mondo, non potesse essere gestita solamente da un sovrintendente. Il commissario, tuttavia, ha lavorato in stretto raccordo e sempre in totale sintonia con i sovrintendenti e ha operato soltanto sulla base delle indicazioni e delle prescrizioni degli stessi sovrintendenti.
Nei due anni del commissariamento, dal giugno del 2008 al giugno del 2010, quando il commissariamento è cessato per tornare alla normalità, sono stati investiti oltre 79 milioni di euro, dei quali 21 milioni provenienti dai fondi FAS del Ministero dello sviluppo economico, 40 milioni dai residui attivi giacenti nel bilancio della soprintendenza speciale di Napoli e di Pompei e 18 milioni derivanti dalla vendita di biglietti.


Di questi fondi l’83 per cento è stato destinato alla messa in sicurezza dell’area archeologica (per un ammontare di 65 milioni di euro), consentendo la manutenzione, il restauro e l’apertura al pubblico di un numero considerevole di edifici. In seguito a questo lavoro, infatti, è stato possibile aprire al pubblico 49 edifici monumentali (nel 2008 ne erano aperti soltanto 37) e 23 domus (nel 2008 erano soltanto 11). Nelle prossime settimane verranno avviati i lavori che riguardano altre cinque importanti domus, tra cui la celebre Villa dei Misteri.

È doveroso ricordare altri risultati ottenuti dalla gestione commissariale: l’apertura di un primo pronto soccorso dentro gli scavi e la convenzione con la Croce Rossa Italiana per la sua gestione; una nuova organizzazione delle guide turistiche (prima il servizio era in mano all’abusivismo e lavoravano meno di venti guide che esercitavano un’attività di intimidazione sulle altre, oggi sono iscritte più di 200 guide, tutte regolari, tra cui tante donne e giovani); l’apertura di 49 bagni (5 sono stati ristrutturati); la messa in funzione della rete di fontanelle di acqua potabile; la messa in funzione dell’impianto antincendio; il recupero della legalità in molti settori, attraverso una straordinaria collaborazione con le forze dell’ordine, la prefettura e la questura di Napoli; il contrasto all’abusivismo commerciale, dentro e fuori l’area archeologica; una campagna di lotta al randagismo, condotta in collaborazione con le associazioni animaliste; una nuova sede per la soprintendenza, che era ancora nei container dopo il terremoto del 1980. Anche grazie a questo lavoro nel 2010 c’è stato un aumento del 40 per cento del turismo scolastico e un aumento medio di circa il 15 per cento dei visitatori e degli incassi.

Il crollo di un edificio, per quanto grave sia, anche dal punto di vista simbolico per il valore che l’area archeologica di Pompei ha in tutto il mondo, non può cancellare questi risultati. Innanzitutto, perché è avvenuto il crollo? A giudizio della soprintendenza nessun elemento faceva presagire il crollo dell’edificio, anche se le forti piogge avevano causato qualche giorno prima un piccolo cedimento nel vicolo adiacente; un sopralluogo, effettuato venerdì 5 novembre da parte dell’ufficio tecnico, non aveva segnalato pericoli visibili per la schola. Da quanto è stato possibile rilevare fin dal primo sopralluogo effettuato dalla sovrintendenza dopo il crollo, la copertura in cemento armato dell’edificio è collassata, cadendo in gran parte all’interno dell’edificio, provocando il crollo della parte superiore delle murature perimetrali della facciata.


Verosimilmente - ma si tratta di accertamenti ancora in corso - il crollo ha interessato le murature verticali, ricostruite nel dopoguerra, e la copertura, appunto, in cemento armato, mentre parrebbe essersi conservata la parte più bassa di quelle medesime parti, per una altezza di circa un metro e mezzo, e cioè la parte che ospita le decorazioni affrescate, che quindi si ritiene potrebbero essere recuperate e restaurate. Sulla copertura in cemento armato era stato recentemente eseguito un lavoro di manutenzione per l’impermeabilizzazione e pertanto si esclude che il danno sia da mettere in relazione alle infiltrazioni nel solaio che ne abbiano minato la tenuta.
Allo stato dei primi accertamenti - ma vi è in corso un’indagine della magistratura e un’indagine anche del Ministero per i beni e le attività culturali, che forniranno ulteriori elementi - il dissesto che ha provocato il crollo sembrerebbe imputabile alla pressione sviluppata sulle murature perimetrali dal terrapieno che si trova a ridosso della costruzione e che, per effetto delle abbondanti piogge di questi giorni, doveva essere completamente imbevuto di acqua.

Purtroppo, non si possono escludere altri crolli, sia per la dimensione dell’area archeologica di Pompei sia perché vi sono altri edifici che si trovano a ridosso del terrapieno costituito dalle aree ancora da scavare che rappresentano, come sappiamo, ancora un terzo dell’antica città di Pompei. Poiché il Presidente della Repubblica ha chiesto giustamente che qualcuno dia delle spiegazioni e lo faccia senza ipocrisie, io lo farò senza alcuna ipocrisia e soprattutto senza scaricare le responsabilità su altri o sulla mancanza di fondi.


Onorevoli colleghi, la mancanza di fondi - voglio dirlo chiaramente - non è la causa di ciò che è accaduto a Pompei. Sarebbe comodo da parte mia dirlo, se lo facessi potrei perfino accampare meriti come paladino della cultura contro i tagli del Governo. Non lo farò perché questo, almeno per me, è il momento della serietà e dell’onestà. Non voglio dare la responsabilità di ciò che è accaduto a Pompei alla mancanza di risorse e scaricare la responsabilità su altri perché mancherei appunto al dovere dell’onestà. Basta esaminare i dati: Pompei, a differenza di altre aree archeologiche o di altri musei, è una sovrintendenza speciale per cui gli incassi dei biglietti non vanno, come avviene, purtroppo, a mio avviso, per altri musei ed altre aree archeologiche alle casse dell’erario ma entrano tutti nelle casse della sovrintendenza speciale di Napoli e Pompei. Volete sapere qual è la situazione dal punto di vista delle risorse disponibili della sovrintendenza speciale di Napoli e Pompei, dal 2002 al 2010, rispetto alle entrate e alle spese, considerando non soltanto i biglietti ma anche i contributi della regione Campania? Nel 2002 le giacenze di cassa a fine anno ammontavano a 52 milioni di euro; nel 2003 a 58 milioni di euro; nel 2004 a 66 milioni di euro; nel 2005 a 75 milioni di euro e via di questo passo fino ai 43 milioni di euro del 2008 e ai 25 milioni di euro del 2009.

Questi dati, onorevoli colleghi, dimostrano che il problema vero non è la mancanza di fondi ma quello di assicurare una gestione capace di utilizzare al meglio le risorse esistenti (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). A questo riguardo voglio sottolineare che i sovrintendenti svolgono davvero un lavoro straordinario e dobbiamo essere loro grati, perché se l’Italia ha mantenuto ed ha potuto tutelare il patrimonio storico-artistico in questi ultimi decenni lo si deve quasi esclusivamente al loro lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). La loro formazione e la loro missione, tuttavia, non è quella di gestire i musei e le aree archeologiche, come avviene in tutti gli altri Paesi del mondo, perché non c’è altro paese in Europa in cui i musei e le aree archeologiche siano degli uffici delle sovrintendenze. In tutto il mondo, i musei e le aree archeologiche hanno una struttura autonoma e dei direttori che hanno la responsabilità di gestirli.


La missione principale dei sovrintendenti in Italia è quella di garantire la tutela del nostro patrimonio storico-artistico, funzione che, a mio avviso, deve continuare a restare nelle mani dello Stato. Cedere tale responsabilità agli enti locali sarebbe un errore grave ed irrimediabile di fronte al quale io non cederò mai (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). La mia opinione è che l’unico modo per affrontare alla radice il problema di Pompei è quello di lasciare ai sovrintendenti il compito della tutela mentre quello della gestione e dell’applicazione dei progetti di manutenzione e di restauro predisposti dai sovrintendenti debba essere assegnata a nuove figure professionali e a nuove forme di gestione Per questo l’ufficio legislativo del Ministero per i beni e le attività culturali sta preparando le linee operative per la predisposizione degli atti costitutivi e statutari di una fondazione per la gestione di Pompei, come è stato proposto di recente anche dall’ex Ministro per i beni e le attività culturali, onorevole Rutelli.

Sovrintendenti e manager dei beni culturali, formati dalle nostre università, devono collaborare insieme, ciascuno secondo le proprie responsabilità. Questa secondo me è la soluzione. Per questo ho costituito proprio ieri un gruppo di lavoro, coordinato dal professor Carandini, presidente del consiglio nazionale dei beni culturali, e formato dal dottor Cecchi, segretario generale, dal professor De Caro, dal professor Proietti e della professoressa Ghedini, allo scopo di formare un gruppo di studiosi, fra i più valenti ed autorevoli in Italia e nel mondo dal punto di vista dell’archeologia, che valuti lo stato di degrado ed il livello di rischio di tutti gli edifici dell’area archeologica di Pompei, che rilevi attraverso le moderne tecnologie l’intera città per preservarne la documentazione e che prosegua l’opera di studio e di catalogazione di tutti gli edifici. Questo gruppo dovrà affiancare d’ora in avanti la sovrintendenza e dettare le linee di intervento.

Ma la situazione più grave - per concludere consentitemi di ricordarlo - oltre alla riduzione dei fondi, è il pensionamento del personale più qualificato del Ministero per i beni e le attività culturali e l’impossibilità di assumere nuovo personale. Ricordo solo, in questa sede, che vi è stata in questi anni una riduzione degli organici dell’11 per cento. La situazione più critica è quella che riguarda la carenza di architetti ed archeologi, soprattutto giovani. Per far fronte alle emergenze delle aree archeologiche oggi in Italia e delle sovrintendenze, che devono sobbarcarsi il compito anche della tutela del paesaggio in Italia, sarebbe necessario autorizzare l’assunzione di almeno 50 architetti e di almeno 80 archeologi.

In conclusione, se questo è vero per Pompei, resta il problema generale delle risorse che lo Stato italiano investe nella cultura. Sono convinto - e lo dico da tempo - che non scommettere sulla cultura è un non senso per un Paese come il nostro.
Io non mi sottraggo alle mie responsabilità, ma questo è un problema che ha una lunga storia e che, secondo me, nasce dalla sottovalutazione che non questo o quel Governo, ma le classi dirigenti del nostro Paese - intendo dire dalla politica al mondo imprenditoriale - hanno avuto per quanto riguarda il ruolo della cultura nello sviluppo economico e democratico del nostro Paese. Ma questo problema non lo posso affrontare da solo e non lo può affrontare da solo questo Governo: questo problema lo possiamo affrontare tutti insieme, in un’ottica di serietà e di responsabilità, nell’interesse comune.

IL POPOLO DELLA LIBERTA' 

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