mercoledì 12 gennaio 2011

BONAIUTI: Che cosa è il Popolo della Libertà


Pubblichiamo il sunto della lezione tenuta dal Sottosegretario Paolo Bonaiuti alla scuola di formazione politica del Popolo della Libertà.


Il compito che mi è stato affidato è quello di approfondire gli aspetti più concreti della politica del Popolo della Libertà.
Si è parlato qui di Immanuel Kant e mi sono tornate alla mente le bellissime parole del grande filosofo sul tema della libertà. Mi rimane però un dubbio: cosa spingeva ogni mattina Kant a uscire da casa sua, puntualissimo, alle 9 esatte, non un minuto più né un minuto meno, tanto che gli orologiai della sua città Königsberg, erano usi regolare i loro strumenti sulla base delle sue passeggiate? Come mai i suoi ideali di libertà assoluta non trovarono un bilanciamento, nei fatti, con quella pulsione metodica che lo costringeva a uscire a quell’ora esatta, ogni mattina? È difficile esercitare in concreto la libertà!
Il primo punto che mi preme sottolineare in questa analisi del PdL, e che ho vissuto fino in fondo, è la fusione tra i suoi tre elementi caratterizzanti. Il primo, l’anima liberal-conservatrice, la liberte; il secondo, l’anima cattolico-liberale cristiana, la fraternite; il terzo, l’anima socialista-liberale, l’egalite. Queste tre anime si sono così ben permeate e fuse, prima in Forza Italia poi nel Pdl, che ognuna ha sempre trovato uno sviluppo coerente con le altre due.
Ci sono stati dei momenti in cui si è votato in Parlamento in maniera differente su certi temi etici. Ma proprio lì si sostanzia la grande idea del Pdl: lo stare insieme su una serie di valori e di principi, lasciando ampia libertà di coscienza quando non si tratta dell’azione unitaria del governo o dell’opposizione (nel caso in cui ci siamo trovati all’opposizione). È un principio pratico di libertà, da sempre applicato con successo all’interno del nostro partito.
Come influiscono le provenienze? Io, che provengo dalla tradizione socialista, non appena è scoppiata la crisi dell’editoria mi sono concentrato, quasi istintivamente, non tanto sul rilancio del settore, quanto sulla difesa di coloro che rischiavano di perdere il posto di lavoro. Per questo motivo, abbiamo dato vita a due fondi da 10 milioni di euro ciascuno, il primo per i giornalisti dei quotidiani, il secondo per quelli dei periodici. Questo è un modo concreto di portare in politica i valori di tutta una vita. Il grande canale, prima di Forza Italia poi del Pdl, è dunque quello che ha raccolto e raccoglie quanto vi era di buono nella politica e che ha permesso di riportare al centro la libertà della persona, il primato dell’individuo.


Quando mi domandano cos’è il Pdl, io rispondo sempre che è il grande movimento dei moderati italiani, delle persone di buon senso che desiderano il progresso e il rinnovamento del Paese. È il grande movimento degli italiani che amano la libertà e che vogliano restare liberi. È un’energia costruttiva al servizio del Paese. E qui mi permetto di riflettere su ciò che avvenne fino al 1994: le forze politiche esistenti non dettero ascolto alle nuove linfe vitali che si stavano levando dalla gente e così non riuscirono più a rappresentare gli elettori. Un esempio per tutti: quello delle imprese. Quando ero a capo del servizio economico di un grande giornale c’era, da un lato, la Confindustria - rappresentante unico di tutte le imprese, ma soprattutto delle grandi - e dall’altro i politici - che trattavano sempre e soltanto con Confindustria. Oggi, quando Berlusconi dice che il petrolio dell’Italia sono i 5-6 milioni di piccoli imprenditori, interpreta una filosofia, quella per cui non sono più soltanto le grandi imprese a dettare la linea dell’economia ma anche le classi nuove che tumultuosamente si sono affacciate, gli uomini delle piccole e delle medie imprese. Forza Italia è stata la prima a interpretare questo fenomeno. Tutti ricordiamo quello che avvenne durante il famoso convegno di Vicenza della Confindustria, quando Berlusconi disse "basta" agli attacchi che gli erano arrivati da quella direzione. Si registrò un netto, evidente scollamento tra le prime due file della platea, occupate dai rappresentanti delle grandi imprese e dai dirigenti supremi di Confindustria, e le restanti file di piccoli imprenditori che di fronte a quel discorso si entusiasmarono, si alzarono in piedi e applaudirono. Quella è la maggioranza. Noi invece spesso leggiamo i giornali e ci convinciamo che la verità sia quella riportata dalle elites. L’Italia è un Paese ancora fortemente mandarino, obbediente, dal punto di vista culturale, ad alcune elites di potere, per lo più di sinistra, una sinistra conservatrice, anche se poi, quando si va al voto, queste non riescono mai a mettere insieme i consensi necessari per governare.
Un nuovo grande partito, che allora era Forza Italia e oggi è il Pdl, ha avuto il merito di riunire in sé tutte queste correnti migliori del passato recente e tutte queste nuove linfe vitali e di portarle avanti. L’esempio che può spiegare il processo avvenuto è quello del Rio delle Amazzoni in Brasile. C’è un punto in cui il Rio Solimoes, di colore giallo, incontra il Rio Negro che, come dice il nome, appare più scuro, quasi nero. La loro unione produce vortici, turbinii, mulinelli, prima che sia formato il nuovo, grande fiume: così, in politica, le unioni generano un forte confronto ma poi tutto quanto si annulla e si pacifica, e le acque del fiume diventano di un unico colore e vanno maestosamente verso la foce. In Italia c’era bisogno di una forza di questo tipo, di una Forza Italia che interpretasse le nuove richieste della gente e al tempo stesso riportasse in auge il principio della nazione, il sentimento della patria, espresso da Berlusconi, molto semplicemente, con quella sensazione che tutti proviamo, di sentirci tremare le gambe quando ascoltiamo l’inno di Mameli.
Il nuovo partito non è stato calato dall’alto sulla gente come certe forme politiche odierne, come certi esperimenti in vitro. Forza Italia ha accolto un cambiamento profondo della società, salvando al tempo stesso il meglio di quelle tradizioni, liberale, cristiana e socialista che, anche se oggi vengono spesso criticate in modo postumo, permisero al Paese di vivere e progredire in una sostanziale e totale libertà.
Ricordo, quando ero ragazzino, il grande sviluppo, il grande boom. Certi commentatori ed esponenti del mondo della cultura di sinistra criticarono allora il moto troppo impetuoso di quello sviluppo che poi però diventò costante, con un continuo miglioramento dei livelli di vita per tutti, e passò alla storia come una svolta decisiva per l’Italia.
Da allora sono cambiate forme politiche e dimensioni. Si parlava prima della formula dei partiti catch-all, cioè ’prendi tutto’… ma io mi allargherei fino a farla divenire quella dei partiti catch-as-catch-can, cioè ’prendi più che puoi’. Anche perché oggi viviamo in un mondo di dimensioni inusitate. Se pensiamo che l’Unione Europea ha stanziato 750 miliardi per difendere l’euro, ma che al tempo stesso i capitali liberi, cioè quelli pronti ad animare la speculazione, sono pari a cinque volte la ricchezza prodotta nel mondo in un anno, arriviamo a capire quanto siano cambiate le dimensioni. Così come non vi è più spazio per le piccole imprese, se non ad altissima specializzazione, ad altissima qualità, ma si richiedono concentrazioni più vaste, collegamenti più ampi; allo stesso modo, non è consentito alla politica di vivere attraverso piccole aggregazioni, ma soltanto attraverso grandi partiti; anzi, neanche più partiti, ma veri e propri movimenti di massa. Ecco perché il Pdl, al di là delle diatribe interne, è destinato a durare, con questo o con altro nome. Perché l’idea di fondo è quella di coinvolgere varie culture in un solo, grande movimento che consenta di ascoltare la gente, di interpretarne la volontà, di soddisfarne le richieste. Ci possiamo riuscire o no, ma quando sosteniamo che la nuova moralità nella politica è quella di rispettare i programmi, cerchiamo di dire qualcosa che faccia sentire finalmente la gente in sintonia con la politica.
Così, il 17 e 18 novembre 2007 abbiamo dato vita ad un censimento attraverso i gazebo e abbiamo chiesto a quattro milioni e mezzo di persone se volevano che il nuovo soggetto politico unitario del centrodestra si chiamasse partito o popolo. La gente ha scelto di chiamarlo popolo, perché all’interno di un popolo si sente di contare di più.
Quando seguivo la politica come inviato di un grande giornale e andavo ai congressi di partito, al termine dei discorsi dei leader, con altri colleghi, ci riunivamo in una stanza e ci chiedevamo cosa volessero dire realmente tutti quei discorsi. Era il tempo delle formule astruse come convergenze parallele e si doveva cercare di tirare fuori le linee concrete di ciò che era stato detto. Con la discesa in campo di Berlusconi e con la formazione di Forza Italia tutto d’improvviso divenne più chiaro. Si è detto agli elettori che quando vanno in cabina possono scegliere un leader di governo preciso, un programma preciso - cercando di evitare quei mattoni di 280 pagine che presentò l’Unione di Prodi ancora nel 2006 - e alleanze precise tra quei partiti che poi dovranno realizzare il programma. Se dovessimo tornare indietro e sostenere di nuovo che i partiti sono liberi dopo il voto di decidere con chi allearsi e cosa fare, ciò equivarrebbe ad espropriare gli elettori delle possibilità di scelta che hanno guadagnato in tutti questi anni di governo del centro-destra.
Quando dico che da questo movimento - e non partito - che è il PdL, scaturisce il governo del fare, quello che cerca di realizzare i desideri della gente, è perché questo non è affatto un partito come quelli della Prima Repubblica, ma è un popolo nuovo, di cui non conosciamo ancora i possibili sviluppi. Un popolo che nasce nella manifestazione del dicembre 2006, quando contro il governo delle tasse di Prodi scesero in piazza San Giovanni due milioni di persone e tutte le bandiere - di Forza Italia, di Alleanza Nazionale, della Lega e dei partiti minori - si mischiarono assieme perché la gente era convinta di dover dare una risposta unica contro chi stava portando il Paese alla rovina.
Allora, in una fredda giornata di dicembre, cosa spinse in piazza due milioni di persone da tutte le parti d’Italia? Il voler dire no a una soluzione tipica della vecchia politica, il più tasso più spendo, e volerla sostituire con qualcosa di nuovo, con il meno tasse per tutti.
A questo popolo così volitivo, così preparato occorreva dare una risposta: e il Pdl era l’unica risposta possibile. Non credo più ai partiti di nicchia, ai partiti di piccola dimensione. Certo, potranno continuare ad esistere e ad avere anche un’influenza, ma occorrono ormai grandi movimenti di massa che si confrontino tra loro. Se si pensa che nelle ultime elezioni il 70 per cento dei consensi è stato messo insieme dalla nostra coalizione e dal Partito Democratico, il quadro è chiaro. E a chi sostiene che questa legge elettorale non va bene, rispondo che occorre sfatare una leggenda della sinistra e dire tutta la verità: la legge elettorale è soltanto un vestito. Quelli che oggi ci vengono a dire ’oh ma quel vestito è brutto, è sconcio’, è perché vorrebbero un vestito più adatto ai loro desideri: soprattutto al loro desiderio di tornare al governo. Anche se l’opposizione tenta di rivestire di valori etici la richiesta di cambiare la legge elettorale, sostenendo che i parlamentari sono indicati dai partiti e che dovremmo invece tornare alle preferenze, scorgo il pericolo reale di tornare ai signori delle tessere. Quanto di più lontano c’è dal nostro popolo della libertà.
Come nacque il Pdl? Su richiesta e volontà espressa della gente, da quel predellino su cui Berlusconi salì in piazza San Babila a Milano. Fui testimone della svolta. La mattina di quel giorno c’era stata grande turbolenza e Berlusconi verso mezzogiorno mi chiamò e mi disse: "Ma perché dobbiamo rispondere a questo e a quello? Basta, diamo vita finalmente a un unico, nuovo, grande partito, diamo retta alla nostra gente". Il Pdl nasce per un motivo etico ma anche pratico, quello di incanalare in un filone unico il movimento verso la libertà espresso dalla gente.
Molte delle critiche attuali, rivolte al governo, riguardano infine la politica di rilancio dell’economia. Invece, la politica del rigore è passata perché è stata considerata dalla gente come un valore. Un valore che ha permesso di salvare qualcosa di molto importante, i propri risparmi. Grazie all’azione di governo non abbiamo fatto perdere un euro dei risparmi degli italiani, non una sola banca è fallita. Ora c’è chi sostiene che non ci sono abbastanza fondi per il rilancio. A parte il fatto che noi siamo indietro su questo terreno da decenni, resta il problema di un debito pubblico che abbiamo ereditato e che sottrae ogni anno troppe risorse agli investimenti nella ricerca e nella produttività. Detto questo, l’Italia oggi non è nel mondo un Paese considerato a rischio proprio grazie alla nostra politica del rigore, e la gente lo ha capito. È entrata a rischio la Grecia, è entrata a rischio l’Irlanda, sta entrando forse a rischio il Portogallo, si parla della Spagna, del Belgio… ma l’Italia continua a essere al riparo. Anzi, c’è stato un momento in cui tutti hanno gridato: il divario con il bund è salito a quota 210. Cos’è il divario con il bund? Il titolo di Stato più forte di tutta Europa è il bund tedesco. Il titolo di Stato della Germania è il punto di riferimento, e quanto il titolo di ogni altro Paese sia forte o meno lo si vede sulla base della differenza di rendimento, sul quanto dà in più di rendimento… tanto più paga quel titolo agli investitori, tanto più è debole rispetto al bund tedesco, tanto più grande è dunque il divario che tecnicamente si chiama spread. Bene, questo spread oggi è ritornato in Italia sui 150. È tornato sotto la normalità.
Quando la speculazione attacca ce n’è per tutti e se noi non avessimo messo a riparo i conti pubblici non avremmo mai potuto salvare né il risparmio né le banche.
Grande importanza hanno avuto i valori fondamentali del Popolo della Libertà in questa fase economica di crisi globale. Quando si parla del valore socialista dell’uguaglianza e della dottrina sociale della Chiesa, pensate a quello che il nostro Governo ha fatto erigendo un muro di 32 miliardi di euro per la cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga. Per la prima volta è stata introdotta proprio da noi la cassa integrazione per quei lavoratori senza contratto di cui sempre la sinistra aveva detto "ora li tuteliamo, ora li proteggiamo, ora facciamo" ma per i quali, tra una chiacchiera e l’altra, non ha mai fatto nulla. Se abbiamo fatto un passo avanti nella giusta direzione, questo deriva proprio dalla sommatoria delle concezioni tradizionali di cui abbiamo parlato.
Potreste chiedervi se la concezione liberale non si sia talvolta scontrata con l’anima cristiana e con l’anima socialista. Probabilmente sì, ma con una costante: ha sempre prevalso la linea che in quel momento permetteva di salvare la persona, l’individuo. Al centro della nostra politica, infatti, c’è la libertà della persona intesa come libertà politica, libertà di espressione ma anche come tentativo di dare a tutti un minimo di libertà economica.
Per questi motivi, oggi possiamo dire che l’esperienza del Pdl è positiva. Certo, sarebbe inutile negare che ci siano dei problemi, ma il fatto che una frangia degli eletti del Popolo della Libertà abbia preferito andarsene, scegliere un’altra direzione, non significa affatto che il progetto non debba continuare. La formula di per sé è eccezionale ed è anche la risposta, se permettete, alla sinistra. Anzi, la sinistra, è stata costretta, da questa nostra formula, addirittura a fare i conti al proprio interno al punto che l’ala estrema ed estremista è rimasta, per la prima volta, completamente fuori dal Parlamento. E se oggi vogliono tentare di nuovo da sinistra di abbattere Berlusconi e questa grande forza che è il Popolo della Libertà devono mettere insieme una nuova ammucchiata, fare un nuovo fritto misto perché da soli non ce la fanno. Non hanno neanche saputo fare quel bagno di socialdemocrazia che era necessario e che i tedeschi fecero 50 anni fa, non hanno saputo fare quella presa di distacco dai sindacati che tutti hanno già compiuto.
Quando il laburista Tony Blair incontrò per la prima volta il presidente Berlusconi e si trovarono subito d’accordo nel dire che era necessaria e doverosa la flessibilità del lavoro, si scatenò l’inferno: ma come, un leader laburista riconosceva il valore della flessibilità? Questo avveniva perché gli inglesi avevano già passato tutta l’esperienza della Thatcher, avevano assimilato e digerito tutti i cambiamenti nella burocrazia, nell’amministrazione statale, nel sindacato. E quei cambiamenti erano passati dai conservatori ai laburisti e viceversa.
Ecco perché il Pdl, che fa parte della grande famiglia politica del Partito popolare europeo, nasce sì da un’intuizione generosa di Berlusconi ma risponde anche ad una richiesta precisa della società italiana in fase di trasformazione e pone, con la sua stessa esistenza una sfida di rinnovamento a tutte le altre forze.

fonte: Popolo della Libertà

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