lunedì 10 ottobre 2011

CAPEZZONE: E' da illusi pensare di sostituire Berlusconi con una riedizione della Dc

10 ottobre 2011



"In modo frettoloso e infondato, alcuni osservatori preoccupati di archiviare l"anomalia’ berlusconiana e tornare a schemini per loro più comodi (oltre che più penalizzanti per il centrodestra) hanno detto e scritto che il futuro del Pdl sta in una sorta di nuova Dc, fortemente connotata in senso confessionale. E, per avallare e corroborare questa previsione, citano l’ancoraggio al Partito Popolare Europeo. Questa analisi è sbagliata, a mio avviso, almeno per quattro fondamentali ragioni".
Lo ha affermato il portavoce del Pdl Daniele Capezzone, che ha osservato:
"La caratteristica vincente del berlusconismo, in tutti questi anni, è stata una sorta di ’fusionismo’ anglosassone, cioè la capacità di tenere insieme, sotto l’ombrello di una forte leadership, storie e culture diverse: tradizionalisti e libertarians, cattolici moderati e liberali, tanti socialisti, e ovviamente i protagonisti della destra nazionale. Così dovrà essere anche in futuro, se il Pdl vorrà continuare (e non si vede perché non dovrebbe volerlo, nonostante le prediche interessate degli opinionisti che ne desiderano la sconfitta) a rappresentare la maggioranza sociale del Paese, in una chiave interclassista e culturalmente aperta, pragmatica, né chiusa né ideologica". In secondo luogo, perchè "chi descrive il PPE come una formazione confessionale mostra di non conoscerlo.

Oggi il PPE unisce formazioni diverse tra loro, cristiano-democratiche, liberal-conservatrici, liberali, connotate soprattutto per un approccio economico più di mercato rispetto ai socialisti europei, e che, su ogni altro tema, non sono certo meno liberali rispetto agli stessi ’liberali ufficiali’ europei, sui quali basterà dire che la componente italiana più forte è rappresentata dagli eurodeputati dipietristi. E abbiamo detto tutto. Inoltre, la stessa storia della Democrazia Cristiana italiana non può essere piegata e caricaturizzata. De Gasperi, anche quando avrebbe forse potuto giocare la carta dell’autosufficienza, non volle rinunciare all’alleanza con i liberali (e con i coraggiosi socialdemocratici, autori di una storica rottura con la sinistra). E anche in anni meno lontani, in cui la Dc fece purtroppo prevalere la logica della gestione a quella delle riforme, quasi mai commise l’errore di schiacciarsi su posizioni di puro e semplice integralismo: e nei rari casi in cui lo fece, come ad esempio nel referendum anti-divorzio, rimediò una salutare e cocente sconfitta. Gli osservatori di cui si diceva all’inizio hanno volutamente finto di non comprendere un aspetto ripetutamente (e a mio avviso molto giustamente) ribadito in questi mesi da Angelino Alfano: e cioè una difesa convintissima del bipolarismo, che è la migliore garanzia di non ritrovarci con una galassia di partiti e partitini desiderosi di presidiare solo una ristretta area elettorale, ma di avere a destra e a sinistra due grandi partiti (purtroppo, meno grandi di quanto sarebbe auspicabile) desiderosi di raggiungere ciascuno il 35-40% dei voti. Per farlo, la dimensione fusionista non è un’opzione fra tante, ma un preciso obbligo politico".

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